Milton Erickson – di Giulio De Santis -Psicologo Milano-Bologna-San Benedetto del Tronto

Milton Erickson

Milton Erickson nacque nel 1901, crebbe in una fattoria ad Aurum, Wisconsin, nel Middle West ed ra il secondo di undici figli. Fin dalla nascita presentava daltonismo, una lieve forma di dislessia, sordità tonale (incapacità a percepire l’armonia dei suoni) e fu colpito due volte dalla poliomielite; la prima volta avvenne a diciassette anni e fu molto grave, dopo essere uscito dal coma rimase paralizzato.

Erickson scoprì da solo il fenomeno della focalizzzazione ideodinamica indiretta: «era seduto su una sedia a dondolo e sentiva un forte desiderio di guardare fuori dalla finestra. La sedia si mise a dondolare nonostante egli fosse completamente paralizzato! […] prese ad utilizzare il suo metodo muscolo per muscolo, articolazione per articolazione. L’osservazione della sorellina che imparava a camminare gli servì da stimolo e da guida nella sua rieducazione (Megglé, 1998, p. 32).» Con il termine “focalizzazione ideodinamica” ci si riferisce ad un semplice fenomeno che fa sì che quando si pensa ad un comportamento lo si agisce impercettibilmente al livello inconscio. Se ne cominciò a parlare alla fine dell’Ottocento alla Scuola di Nancy in questi termini: «Abbiamo stabilito che ogni suggestione tende a realizzarsi, che ogni idea tende a farsi atto. Tradotto in termini fisiologici, questo vuol dire che ogni cellula cerebrale azionata da un’idea aziona le fibre nervose che devono realizzare questa idea (Bernheim, 1897).»

La moglie in una lettera ad uno studente colpito da poliomielite raccontò che «imparò a camminare con le stampelle e a tenersi in equilibrio sulla bicicletta; finalmente ottenuta una canoa, alcune provviste indispensabili per un equipaggiamento da campeggio ed una manciata di dollari, progettò un viaggio per una intera estate, a partire dal lago vicino al campus dell’Università del Wisconsin, per proseguire seguendo il corso dl Mississipi, spingendosi al sud oltre St. Louis, fino a tornare indietro nello stesso modo. […] Andò incontro ad alcune avventure e completò il viaggio ritornando in condizioni di salute di gran lunga migliori, pronto ad affrontare gli studi universitari di medicina (Zeig, 1990, p. 21).»

Iniziò la sua formazione universitaria nel 1920 presso l’Università del Wisconsin dove conobbe e sposò, nel 1923, Helen Hutton dalla quale ebbe tre figli. In quello stesso periodo iniziò ad interessarsi allo studio dell’ipnosi, sotto la guida di Clark Hull. Si laureò nel 1928 e conseguì contemporaneamente il master in psicologia. Dopo la specializzazione in psichiatria iniziò una brillante carriera professionale che lo portò ad ottenere importanti incarichi in diversi ospedali. Nel 1935 si concluse il suo matrimonio con Helen e l’anno dopo sposò Elizabeth Moore dalla quale ebbe altri cinque figli e che divenne la sua compagna di vita, ma anche stimolante collaboratrice per le sue ricerche e per parte delle sue attività cliniche. Nel 1938 la sua crescente reputazione determinò l’incontro con Margaret Mead, che studiava i fenomeni della trance dei danzatori di Bali (Loriedo, 2003, pp. 115-116). A quanto pare la voce arrivò fino a Palo Alto dove erano già attivati i progetti Bateson e le ricerche sui paradossi nella comunicazione e sul doppio legame. Haley e Weakland lo raggiunsero in Arizona ed in particolare Haley rimase molto affascinato dall’ipnoterapeuta e iniziò a scrivere il libro “Terapie non comuni” che consacrò Erickson come un maestro di terapia strategica.

Il modo di praticare psicoterapia di Erickson rappresentò per il gruppo di Palo Alto un materiale clinico di rilevante importanza. Fu rilevato, infatti, che Erickson aveva, al livello intuitivo ed empirico, messo a punto ed utilizzato strategie terapeutiche che rappresentavano l’applicazione diretta di molte delle formulazioni teorico-applicative che il gruppo di Bateson e Jackson aveva formalizzato al livello di modello. Ad esempio venne osservato che Erickson, basandosi sulla sua esperienza di ipnotista, , utilizzava in terapia forme di azioni e prescrizioni paradossali mettendo in atto da grande maestro forme di “doppio legame” terapeutico; che usava la sorpresa e l’utilizzazione della resistenza come tecniche terapeutiche e che metteva il paziente nella situazione tale in cui l’unica via possibile era il superamento del problema presentato. Dunque egli, attraverso l’uso dell’ipnosi, era giunto ad esprimere in modo eccezionale e personalizzato una forma di psicoterapia in completa assonanza con la formulazione teorica interazionale e sistemica. Un approccio che gli permetteva di curare con successo e in tempi brevi singoli individui, coppie e famiglie (Nardone, Watzlawick, 1990).

Agli inizi degli anni Cinquanta il gruppo di Palo Alto avvertì la necessità di un modello psicoterapeutico che, da un lato, si dimostrasse una valida alternativa a quello psicoanalitico e che, dall’altro, fosse compatibile con la prospettiva relazionale e interattiva che proprio allora si andava sviluppando. La familiarità di Gregory Bateson con Milton Erickson, dovuta soprattutto alle frequentazioni, comuni anche a Margaret Mead, per esplorare i fenomeni della trance che si verificavano nel corso delle danze tradizionali balinesiane, rese possibili i primi incontri tra alcuni dei pionieri del gruppo ed il grande ipnotista.

Quando Jay Haley e John Weakland iniziarono a studiare il lavoro clinico di Erickson la loro attenzione fu colpita dal fatto che l’uso della trance e di tecniche ipnotiche sembravano spiegare solo in piccola parte l’abilità e l’efficacia dell’approccio ericksoniano. Molti degli interventi “non comuni” utilizzati da Erickson che riuscivano a determinare rapidi ed inattesi cambiamenti trovavano una migliore spiegazione in una forma di comunicazione efficace che valse ad Erickson l’appellativo di “The greatest Communicator”.

Le osservazioni effettuate su questo tipo di interventi permisero ad Haley e Weakland di trovare la naturale continuazione agli studi sul doppio legame che i due studiosi stavano conducendo insieme agli altri del gruppo. Lo studio delle metodiche utilizzate da Erickson permetteva di saldare solidamente, in un unico corpo interpretativo-applicativo, le incongruenze comunicative patogene e le strategie di cambiamento. Molti dei volumi pubblicati da Jay Haley sono esplicitamente ispirati all’opera di Milton Erickson e contengono indicazioni della profonda influenza esercitata dall’approccio di Erickson sulla terapia della famiglia e sulla psicoterapia in generale.

Zeig (Loriedo, Nardone, Watzlawick, Zeig, 2002, pp. 27-34) ha individuato undici atteggiamenti che Erickson utilizzava nella psicoterapia. Mi sembra utile riportarli brevemente così da avere un’idea dello stile adottato da Erickson nella pratica della psicoterapia.

  1. Lo stile di Erickson consisteva nell’orientare verso un concetto piuttosto che presentare semplicemente un’idea in modo diretto. Il terapeuta decide quali informazioni vuole trasmettere e, invece di presentare il messaggio direttamente, lo “confeziona” avvolgendolo, per esempio, in una storia, una metafora, una forma allusiva di linguaggio, una parabola, un gioco.
  1. Un secondo atteggiamento di Erickson è rappresentato dalla fiducia che egli riponeva nella comunicazione a livelli multipli rispetto al ricorso a forme lineari di conversazione. Gli schemi emotivi operano secondo una loro logica e la logica lineare può non essere considerata lo strumento più efficace per cambiarli in quanto il paziente comunica sempre a più livelli e per tradizione gli psicoterapeuti vengono addestrati a far affiorare livelli inespressi di comunicazione.
  1. Un altro aspetto caratterizzante dello stile evolutivo di Erickson era l’enfasi che veniva data al modo di determinare il cambiamento, enfasi posta nell’attivazione delle risorse. Il compito del terapeuta consiste nello scoprire e nel far emergere le strategie di adattamento di cui dispone il paziente.
  1. Nel modello ericksoniano si parla anche di un atteggiamento basato sull’abilità di inserire un certo grado di drammatizzazione. In questo modo si riesce a trasformare l’esperienza terapeutica in un evento emotivamente coinvolgente piuttosto che in una discussione.
  1. Un concetto importante nell’ottica ericksoniana è quello di responsività, termine che sta a significare la capacità degli esseri umani di reagire alle piccole sfumature e ai segnali minimi proveniente da un qualsiasi interlocutore. Concetto talmente importante da poter definire tutta la terapia ericksoniana come una sorta di tecnologia dello sviluppo della responsività ai segnali minimi, che permette ai clinici di aiutare il cliente ad accedere alle proprie risorse interne.
  1. Il tailoring. Viene definito in questo modo l’attenzione al tener conto della unicità delle singole persone e progettare un intervento terapeutico individualizzato costruendo una terapia su misura del cliente.
  1. Lo sviluppo della percettività. Sviluppare la percettività significa osservare le persone in modo più approfondito di quanto si riesca a fare abitualmente. Nell’ipnosi riuscire a cogliere le sfumature è indispensabile perché la trance riduce drasticamente il repertorio comportamentale dell’individuo e la comunicazione diventa telegrafica.
  1. La precisione. Le parole di Erickson erano precise e le implicazioni contenute nelle sue parole altrettanto precise.
  1. L’abilità nell’utilizzazione. L’utilizzazione è una forma di filosofia terapeutica secondo la quale tutto ciò che si verifica nel contesto terapeutico può essere sfruttato per perseguire gli obiettivi della psicoterapia o dell’ipnosi.
  1. La posizione umanistica adottata dal terapeuta. Erickson era un terapeuta particolarmente attento, interessato ed empatico, che continuava a dimostrare questo atteggiamento per tutto il corso della terapia. Dimostrava un aperto interesse per la vita delle persone, siano essi allievi o pazienti, senza chiedere denaro.
  1. Guidare le associazioni. Guidare le associazioni è una filosofia di base alla quale il clinico induce il paziente a scoprire associazioni costruttive.

Erickson si interessò in particolare ai metodi naturalistici (senza induzione formale) che lo portarono ad utilizzare l’ipnosi in modo creativo, non più cioè come una serie di rituali standard ma come un particolare stile comunicativo e una particolare «situazione comunicativa relazionale» (Haley, 1976, p.10). Erickson era capace di indurre una trance a partire da racconti, reminiscenze, episodi della sua vita o strane storie e fatti inconsueti che apparentemente non avevano nulla a che fare con il problema specifico del paziente. Il paziente ascoltava e poi veniva congedato senza accorgersi che era entrato ed uscito spontaneamente dalla trance più volte. Scopo della sua ipnosi era quello di accedere al potenziale inconscio e alla capacità naturale di apprendere del cliente, depotenziando al contempo i suoi schemi limitanti (Erickson, Rossi, 1982, p. 10).

Erickson fu anche socio fondatore dell’American Society of Clinical Hypnosis e contribuì a dare dignità scientifica all’ipnosi, collaborò inoltre con Aldous Huxley nella sua ricerca sugli stati di coscienza alterati.

Dopo il secondo attacco di poliomielite rimase in carrozzina con le gambe ed un braccio paralizzati e morì a 78 anni il 27 marzo 1980, successivamente altri suoi allievi, tra i quali Jay Haley della Scuola di Palo Alto, continueranno il suo insegnamento. In particolare Jay Haley porterà a Palo Alto quella impronta ericksoniana che ancora oggi caratterizza il modello strategico in tutto il mondo.

Una convinzione fondamentale di Erickson era che l’ipnosi, come aveva potuto verificare, esiste in un gran numero di situazioni della vita quotidiana, non è necessario quindi un rituale specifico complicato per indurla. Per Erickson l’ipnosi era più che altro uno stile comunicativo; da questa convinzione deriva l’approccio naturalistico che lo rese famoso.

L’incredibile capacità di Erickson di usare il linguaggio multivello, deriva dal fatto che fino alla terza elementare passò il tempo a studiare il dizionario fin quando non riuscì a capire come adoperarlo a causa dei propri handicap; handicap che lo portarono ad una serie di esperienze inusuali che costituirono la base di una ricerca, durata tutta una vita, sulla relatività delle percezioni umane e sui problemi che ne derivavano, nonché sugli approcci terapeutici riguardanti tali problemi.

Milton Erickson, quale eclettico personaggio, adottava una terapia che non è contenibile in una sola delle grandi teorie di riferimento; come scrive Megglé «Per la sua inclinazione alla sperimentazione e per l’importanza attribuita all’apprendimento la terapia ericksoniana si avvicina alle terapie comportamentali. Per il suo orientamento sulle qualità del trattamento dell’informazione essa evoca le terapie cognitive. Per il suo lavoro sulle associazioni mentali, i simboli inconsci e per l’attenzione all’economia psichica, si situa nella corrente psicoanalitica. Infine per il suo interesse volto più alla crescita della persona che alle sue deficienze, può essere considerata una terapia umanistica.» (Megglé, 1998, p. 32).

Dr. Giulio De Santis

PSICOLOGO – PSICOTERAPEUTA

Specialista in

PSICOTERAPIA BREVE STRATEGICA

Affiliato al CTS di Arezzo diretto dal Prof. Giorgio Nardone

Coordinatore CTS – Bologna

Riceve a: Milano, Bologna, San Benedetto del Tronto

Tel.: 3333763710 e-mail: desantisgiulio@gmail.com

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